
L’Egitto lo aspettava da secoli: ora il suo Museo, il più grande del mondo, è realtà. Lo spettacolo della cerimonia d’apertura, ieri 1 novembre 2025, è durato diverse ore con attori, ballerini, cantanti e musicisti, giochi di luce e fuochi d’artificio. Accanto al presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, una quarantina tra teste coronate e capi di Stato e di governo, ha salutato l’apertura del Grand Egyptian Museum (Gem), il museo che con i suoi 500 mila metri quadri ha soffiato al Louvre lo scettro di maggiore museo del mondo, nonostante sia dedicato ad una sola civiltà. Martedì 4 novembre l’apertura al pubblico.
Oltre 100 mila i reperti dell’Antico Egitto conservati, tra i quali spicca il tesoro di Tutankhamon, il faraone bambino, finalmente riunito dopo essere stato a lungo diviso tra Il Cairo e Luxor.
Una dimostrazione di grandezza fortemente voluta da Sisi che aveva esteso gli inviti ad alcuni grandi della Terra che non si sono visti, ma che comunque ha, almeno in pectore, raggiunto lo scopo di incrementare i flussi turistici che contribuiscono in grande misura all’economia egiziana. Diciotto milioni i visitatori attesi in tutto l’Egitto per fine anno, mentre Il Cairo conta che i visitatori del solo museo si attestino sui 5 milioni all’anno.
Pedane ed effetti di luce hanno arricchito lo spazio compreso tra il Grande Museo e le piramidi di Giza, distanti appena due chilometri e ora unite da una piacevole passeggiata, in modo meno suggestivo della sfilata di mummie che aveva accompagnato il loro trasferimento da piazza Tahrir al Museo della Civiltà egizia. Un tono decisamente diverso, studiato per un pubblico internazionale, spiegano gli organizzatori.
Per l’Italia era presente il ministro della Cultura Alessandro Giuli, dopo che la presidente Giorgia Meloni aveva declinato l’invito a pochi giorni dalla partenza. “È una gioia e un onore rappresentare il governo italiano all’inaugurazione del Grand Egyptian Museum – ha detto il ministro -. Uno scrigno che esalta la magnificenza della civiltà egizia e il suo fascino senza tempo. Siamo lieti che questo straordinario patrimonio culturale, orgoglio dell’Egitto, abbia una nuova, monumentale casa. Investire nella cultura è essenziale per promuovere pace, stabilità e sviluppo nel Mediterraneo. Italia ed Egitto vantano rapporti millenari e una cooperazione culturale esemplare, che apporta benefici a entrambe le Nazioni e rappresenta un modello di riferimento per il dialogo euro-mediterraneo”. Tra gli italiani si è visto anche Matteo Renzi, invitato, spiega il suo staff, per le sue buone relazioni con il mondo arabo.
L’evento era atteso da decenni costellati da disordini, guerre, pandemia e false partenze che la presidenza egiziana ha voluto ora celebrare in gran pompa, soprattutto per rilanciare una economia trainata dal turismo ma anche per mostrare un Egitto, nelle sue intenzioni, “ponte tra i popoli votati alla cultura e alla pace”.
Per questo ha esteso l’invito a una cinquantina tra re, capi di Stato e di governo, giunti al Cairo forse in misura inferiore alle attese. Un massiccio apparato di sicurezza ha accompagnato l’arrivo delle delegazioni, quella del presidente libanese Joseph Aoun, quelli di Kenya, Azerbaigian, Gibuti, di Cipro e Armenia. Sono giunti al Cairo il principe ereditario del Bahrein e il capo del Consiglio presidenziale libico Mohamed al Menfi.
C’era il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen, mentre Donald Trump ha mandato il consigliere per i rapporti con i Paesi arabi Mossad Boulos.
Il Giappone, che pure ha investito circa 760 milioni di dollari nell’opera (un perfetto esempio di partenariato culturale fruttuoso’ lo ha definito il premier egiziano Mostafa Madbouly), ha inviato Akihiko Tanaka, presidente dell’Agenzia giapponese per la cooperazione internazionale.
Intanto presidenza e governo egiziani incassano il successo di avere portato a compimento un’opera ambiziosa al servizio dei curiosi ma soprattutto degli studiosi di tutto il mondo che potranno usufruire di laboratori e sale di restauro, in attesa di nuovi tesori ancora nascosti nelle sabbie egiziane. E poco importa se la prima pietra la mise Hosni Mubarak nel 2002. “L’importante – ha sottolineato il primo ministro – è che questa presidenza l’abbia portata a termine”.





